Category Archives: Storytelling

Essere figlie di un fiume

La settimana scorsa sono stata a Parabiago, in provincia di Varese, il paese in cui è nato mio nonno Emilio Rancilio. Sì Rancilio, a qualcuno suonerà un cognome familiare, Rancilio come le macchine del caffè, sono lontani cugini.
Sono andata per fare visita ad una cugina, una persona che ricorda come fosse oggi la presenza di mio nonno, e dei suoi sei fratelli. Erano in sette, e si volevano bene. Alla domenica, si ritrovavano al bar in paese e stavano insieme, ridevano, si consigliavano, si aiutavano. Mia cugina mi ha detto “me la sento ancora dentro quell’energia – quel modo di essere, mi scorre ancora nel sangue” (parliamo di ricordi risalenti circa al 1950).

Mio nonno. Mio nonno era un campione di calcio, quando il calcio era un’altra cosa rispetto ad oggi. Maglia 10 della Triestina negli anni trenta, era un giocatore amatissimo ed è stato amato per tutta la sua vita da tutti. Da anziano fece parte delle “Vecchie glorie della Triestina”. Per me, sua nipote, era un monumento di umanità. Una persona la cui umiltà scioglieva i cuori. Io ho vissuto accanto a lui fino ai miei dieci anni. Mi veniva a prendere a scuola elementare e poi pranzavamo insieme e mi abbracciava forte, a volte da perdere il fiato.

villoresi rancilio parabiago

Mio nonno era per me un mondo, la sua vita era di una semplicità disarmante, il suo cuore ha formato il mio. Ricordo la penombra del suo piccolo negozio da calzolaio, dove passavo spesso i pomeriggi, l’odore delle colle per le scarpe, i cassetti di legno, le forme di legno per le calzature. Mio nonno riparava le scarpe. Riparava i passi delle persone nel mondo, con la sua umanità, il suo voler bene, quello sguardo che aveva in sè i fiumi della sua terra, e le campagne, le distese d’erba, i silenzi e il frinire dei grilli.
Anch’io me lo sento ancora nel sangue, mio nonno. Me lo sento nel mio sguardo verso il mondo e verso le persone a cui voglio bene. Quel fiume continua a scorrere, quello sguardo non si è spento. La dolce penombra dell’affetto, quella tenerezza che può vivere solo nella serenità e nella certezza di esserci davvero. Quel silenzio che è suono, voce. e che ancora racconta e vuole dire.

Fare pace con se stessi…camminando

28 luglio 2018

Da Monrupino a Rupinpiccolo a piedi (due paesini del Carso triestino).

Ci ho provato, e ce l’ho fatta. Oggi pomeriggio volevo tornare a Monrupino a fare due passi, e poi guardando la mappa ho visto che a poca distanza c’era Rupinpiccolo. Questo piccolo paese per me ha un significato speciale: era il luogo in cui mio nonno aveva la sua casa-laboratorio, dove per anni, ogni giorno, andava a fare lavori e lavoretti, era il suo mondo magico. Quella casa ora è di persone che neppure conosco, ma volevo tornare a vedere le stradine, e magari il portone, di uno dei luoghi magici della mia infanzia. Così ho fatto. Arrivata vicino a Monrupino, ho visto l’indicazione stradale per Rupinpiccolo e ho pensato “c’è modo migliore che avvicinarsi a piedi a questo paese che non vedo da una vita?”. E così ho iniziato a camminare.

Ecco, ho camminato e ho sentito che era un camminare personale, interiore, non indicato ufficialmente sulle cartine come sentiero da pellegrinaggio 🙂 ma che dentro di me stava accadendo qualcosa di simile.

Ho camminato un poco in salita con alberi che avvolgevano il cielo. Quando mi mancava un poco il fiato, la strada si è aperta su una piccola valle con vigneti che immediatamente ha richiamato un respiro più aperto.

rupinpiccolo trieste biografia storytelling

Ho incontrato l’iperico, l’achillea, i pini con le pigne profumate, e tante altre piante selvatiche che restano impresse per la loro forma e bellezza.

Ad un certo punto arriva il cartello: “Rupinpiccolo”. Non ci posso quasi credere. Non ci andavo credo da più di vent’anni. Eppure questo piccolo paese lo conosco a memoria, e infatti la memoria si accende e riconosco le strade. La bussola interiore si attiva e mi muovo con una certa sicurezza. Il mio corpo riconosce questo luogo. So dove sono le cose e come è orientato. Le informazioni “stipate” dentro la mia memoria cellulare escono fluide e mi orientano senza problemi. Così raggiungo facilmente il portone della casa che era di mio nonno. Ho qualche dubbio inizialmente, poi guardo bene e sì, ci siamo, è certamente quello. Tocco i muri adiacenti. Una cassetta delle lettere che senza dubbio non è mai stata cambiata. Tocco altri muri a fianco, una porta segna la data 1863. Mi guardo intorno, trovo in un vicolo un bel micione che mi saluta morbido. Fiori, vigneti, energia sottile, pietra e segni della storia. E ci sono arrivata a piedi, qui. Che sensazione meravigliosa.

Poi è il momento di tornare a Trieste. E qui mi viene in mente che un autobus, che prendevo anche all’epoca, c’è ancora. Trovo la fermata. E qui la vita offre il suo meglio: mi raggiunge un signore anziano, che era andato a camminare nei dintorni, perché ha dei terreni lì vicino. Iniziamo a parlare, e oltre a essere d’accordo con lui su molte cose, ricevo una goccia di saggezza triestino-carsolina: “ghe vol morbin, senò qua xe de pianzer”. El ga ragion. El me racconta de quando iera poche auto, o quasi niente; de quando le robe non andava cusì veloci. Ma perché i fa cusì? I vol sempre de più, senò no i dormi de notte”. Ci sorridiamo, arriva l’autobus e saliamo insieme. Ci siamo capiti, quest’uomo avrà almeno ottanta anni, io ne ho quarantasei. Il desiderio di pace è uguale per entrambi, e l’ho visto anche negli occhi e nel cuore di ragazzi di vent’anni che ho incontrato poco tempo fa. Speriamo tutti di poter far pace con noi stessi, almeno un po’. Oggi mi sembra di aver fatto un piccolo passo avanti in questa direzione.